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giovedì 5 maggio 2011

L'ULIVO




Se volete un alberello in terrazzo, tra le piante più indicate c’è l’ulivo. In questo periodo (primavera) nei vivai se ne trova un’ampia scelta. Solitamente si tratta di esemplari giovani, di 4 anni, alti circa 150 centimetri. L’ulivo cresce bene in vaso perchè ha un apparato radicale piuttosto superficiale, e il suo bello sta nel fatto che non perde mai le foglie, e si riempie di frutti verdi (acerbi) e neri una volta maturi. Unico neo: non sopporta il freddo se la temperatura scende per molti giorni sotto i 10 gradi. La pianta quasi sicuramente morirà in questo caso.
Ecco come prendersi cura dell’ulivo:

d’inverno, nelle regioni del nord Italia conviene collocare l’ulivo vicino a un muro esposto a sud, oppure a ridosso di un muro che separa la casa dal terrazzo, in modo da non lasciarlo in balia del vento e permettergli di ricevere il tepore proveniente dall’appartamento
un’altra protezione si può avere spruzzando sulla chioma dell’ossicloruro di rame. Questa sostanza si trova nei comuni garden center. Le foglie diventeranno più spesse. In questo modo saranno più resistenti ai rigori invernali.
bisogna inoltre bagnare tutte le volte che il terreno è asciutto, evitando però i ristagni di acqua nel sottovaso, che saranno uno dei principali nemici
ricordarsi che gli ulivi prediligono il terriccio composto per metà dal lapilli vulcanici, oppure da pietra pomice.

lunedì 25 aprile 2011

VILLA TECCHIO



RELAZIONE STORICA

1600 e precedenti:
Famiglia GARBINATI

Inizi del 1600:
Geronimo GARBINATI

Metà del 1.600:
Antonio GARBINATI

Dalla metà del 1600 fino al 1700:
Famiglia GARBINATI

Metà del 1700:
Francesco GARBINATI

Seconda metà del 1.700:
Giovanni GARBINATI

Dalla fine del 1700 fino al 1805:
Eredi del fu Giovanni GARBINATI (Cecilia, Maddalena e Francesca GARBINATI)

Dal 1809 al 1813:
Capitano Ignazio DI FRANCESCO;
Maddalena GARBINATI LAGHI;
Francesca GARBINATI TECCHIO.

Dal 1829 al 1850:
Francesco TECCHIO del fu Sebastiano.

Dal 1850 al 1920 (circa):
Famiglia TECCHIO.


Dal 1920 (circa) al 1936:
Famiglia MORGANTE

Dal 1936 al 1989:
Famiglia GIARETTA

Dal 1989:
Famiglia ZANOTTI FRAGONARA RIGO


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Il complesso di VILLA GARBINATI, ora ZANOTTI FRAGONARA RIGO, sorge in località Lupiola di Sandrigo, in provincia di Vicenza.
Esso si articola in più corpi di fabbrica variamente accostati.
Attualmente il complesso è costituito da un corpo principale su tre piani, la villa vera e propria, con facciata principale rivolta a ovest.
A detto corpo si aggancia, a est, la torre colombara, che ai primi tre livelli funge da corpo scale della villa stessa. In prosecuzione della torre colombara, verso sud, si articola la barchessa maggiore, su due piani, con orientazione nord-sud e con portico a tutta altezza prospiciente il giardino interno, verso ovest.
A nord della villa è ubicato, in posizione leggermente ruotata rispetto a tutti gli altri corpi di fabbrica, un edificio in stile neogotico a pianta quadrata su due piani. Allo spigolo nord-ovest di questo si accosta un lungo edificio ad un piano, ad uso serra, addossato al muro di cinta. In prosecuzione di questo si trova un basso colonnato, con capitelli d'epoca gotica, che si estende fino al muro di cinta verso la strada comunale ad ovest. In corrispondenza dello spigolo nord-est della villa si trova un lungo edificio a due piani, con orientazione nord-sud come l'altra barchessa dianzi descritta.

L'intero complesso di cui sopra è perimetrato a nord, ovest e sud da un muro di cinta che racchiude il giardino interno. La chiusura ad est è costituita dalle pareti del rustico nord e della barchessa sopra descritte.

Fa parte del complesso anche il parco esterno al muro di cinta che si estende a nord fino alla via Santa Cristina e a sud fino al rio Dindarello.



Da un'attenta analisi della documentazione raccolta da varie fonti bibliografiche e archivistiche, combinate con indagini in sito sulla tessitura e compagine muraria, nonché sulla possibile successione esecutiva degli interventi, si può ipotizzare, con sufficiente approssimazione, un'evoluzione del manufatto nel tempo, secondo le seguenti fasi:


1^ FASE: (nucleo cinquecentesco e antecedenti)

Difficile stabilire con certezza la composizione originaria del nucleo che aveva comunque, come elemento principale, la torre colombara.
Le trasformazioni morfologiche attuate su tale nucleo hanno sostanzialmente celato o comunque modificato la gran parte dell'impianto originario, anche se questo è servito poi come elemento di base per l'evoluzione del manufatto.
Riferendosi alle indagini svolte e agli elementi catastali e cartografici, si può supporre che l'impianto preesistente fosse composto, oltre che dalla torre summenzionata, anche da un volume centrale adiacente, su cui si imposterà poi l'intervento seicentesco della villa.
La collocazione isolata della torre fa presumere, per analogia, un uso diverso per la stessa, quale torre di avvistamento alto-medioevale, anche se tale circostanza, allo stato attuale di conoscenze, è difficilmente dimostrabile.


2^ FASE: (nucleo cinque-seicentesco)

Si presume che in questa fase si stabilizzi l'uso agricolo del complesso originario con l'addizione di due lunghi edifici rustici allineati, a nord e a sud della torre, e dell'attuale edificio neogotico, all'epoca già disposto trasversalmente con un'asse inclinato rispetto al nucleo principale.
Saggi fondazionali e murari ci hanno consentito di risalire alla composizione planimetrica dei manufatti così come descritti.
Il complesso, all'epoca, aveva una sua integrità rispetto all'uso cui era destinato: presumibilmente il rustico sud comprendeva l'unità residenziale, come troviamo in epoca successiva, mentre il rustico nord ospitava attività prettamente agricole quali cantina, rimessa, granaio.


3^ FASE: (nucleo seicentesco / 1672)

Durante questa fase si sviluppa l'assetto planimetrico quasi definitivo; in particolare si erge la casa padronale della famiglia Garbinati nel 1672, consolidando l'uso agricolo dell'intero complesso.
Tale opera amplia il volume centrale preesistente prossimo alla torre colombara, che viene utilizzata per accogliere il vano scala della villa, mentre le barchesse non subiscono sostanziali modifiche.


4^ FASE: (nucleo dei primi dell'ottocentesco)

Gli interventi ottocenteschi riguardano sostanzialmente la sistemazione degli annessi rustici, così come testimoniato dai catasti analizzati.

Detti interventi si identificano con:

- la realizzazione della serra e del nuovo muro di cinta a nord;
- l'allungamento, verso nord, del corrispondente rustico che viene così a costituire lo spigolo nord-est del complesso;
- la ricomposizione dei prospetti del rustico stesso, con la chiusura di alcune finestre originarie a piano primo e l'apertura di nuove finestre incorniciate in pietra di Vicenza;
- la demolizione del rustico a sud e la sua ricostruzione alquanto ampliata, come barchessa, così come oggi ci appare, ad uso di abitazione e per l'allevamento del baco da seta, con inserimento di una loggia di colonne doriche.

E' questa l'impostazione più unitaria, organica e armonica dell'intero complesso.


5^ FASE: (interventi e superfetazioni novecentesche)

Nella prima metà del novecento, si sono operati alcuni interventi avulsi dalla concezione originaria del complesso, che tuttavia sono stati rimossi, ridando chiarezza ai collegamenti tra serra-neogotico e rustico nord.



6^ FASE: (dall'anno 1990 in poi)

In quest'ultima fase, avviata a partire dal 1990, sono stati eliminati i volumi estranei ad una ordinata ricomposizione dell'originario complesso. Sono state restaurate tutte le coperture e la barchessa sud è stata pienamente recuperata al primitivo splendore.



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RELAZIONE ARTISTICA


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VILLA.

La villa, nella sua facciata principale, presenta una tessitura compositiva consueta alle architetture vicentine del secondo seicento.

L'elemento caratterizzante il prospetto principale (ovest) è un frontone triangolare recante nel timpano lo stemma della famiglia Garbinati e una targa lapidea ("REI RUSTICAE INCREMENTO ET AGRICOLARUM COMMODO ANTONIUS GARBINATUS HIERONYMI FILIUS EXCITAVIT MDCLXXII"). La facciata è scandita da un ordine di lesene joniche, con balaustre negli intercolumni, poste al di sopra della fascia bugnata a tutta altezza del piano terreno.
Per il resto, detto prospetto si sviluppa simmetricamente con elementi di finitura e decorativi di elegante semplicità con mascheroni in chiave di volta degli archi, ed eleganti cornici che cingono le finestre.

Una meridiana affrescata è situata all'altezza del piano primo della facciata sud della villa.

Nei rimanenti prospetti troviamo finestre con analoghe cornici e inferriate di fattura ottocentesca che hanno parzialmente sostituito le preesistenti.

All'interno della villa, nella grande sala centrale d'ingresso, stanno in precisa simmetria le quattro porte, a cimasa orizzontale, che immettono alle quattro stanze laterali, mentre la parete di fondo s'apre nella diade di due archi, con soprastanti mascheroni e su pilastro intermedio, che danno accesso alla scala ricavata nel volume della antica torre colombara.

Di pregevole fattura i caminetti, di cui quello posto nella stanza d'angolo nord-ovest, di fattura cinquecentesca in marmo rosso di Verona, risulta di particolare pregio.

Tutti gli elementi e fregi architettonici sopra descritti sono in pietra di Vicenza.


NEOGOTICO E SERRA.

Già si è avuto modo di palesare la possibile genesi ed evoluzione di detto manufatto, la cui peculiare caratteristica risulta essere l'inserimento di elementi gotici originali di grande pregio e di pregevole fattura, in marmo rosso di Verona, compositivamente integrati e associati ad altri elementi in pietra di Vicenza, dei primi dell'ottocento.

Il prospetto principale (sud) è caratterizzato da una pregevole trifora, posta in specchiatura rettangolare con cornice a doppia dentellatura e con pennacchi, ai vertici degli archi trilobi inflessi, a loro volta compresi entro un'ampia ghiera inflessa a quattro centri, affiancati da patère trafitte da spilloni, a cui corrispondono, al piano primo, tre finestre quadrilobate con cornice a scacchi.

Pregevole pure il prospetto ovest, caratterizzato da tre monofore, singolarmente incorniciate, con cornice a doppia dentellatura, i cui archi inflessi polilobati sono sovrastati da pennacchi affiancati anch'essi da patère trafitte da spilloni, sovrastate da altrettante finestre quadrilobate come per il prospetto sud.

Un elegante fregio di cornice, composto da una teoria di archetti trilobati inflessi, termina le facciate sud e ovest.

I fori di porte e finestre degli altri due prospetti (nord ed est) sono invece incorniciati da semplici elementi in pietra di Vicenza. Le finestre sono dotate di inferriate di fattura dei primi dell'ottocento, come per la villa sopra descritta.

L'adiacente serra, il cui prospetto principale è rivolto a sud, è scandita da otto aperture con sopraluce. A ovest, procedendo verso il muro di cinta sulla strada principale, una elegante serie di capitelli originari gotici sovrasta un corrispondente basso colonnato per terminare in un prezioso cancello in ferro battuto sul muro di cinta summenzionato.


RUSTICO A NORD.

Le finestre aperte a piano primo, come già detto, risultano incorniciate da semplici elementi retti in pietra di Vicenza, con inferriate a rombi dei primi dell'ottocento.
Elegante la facciata ottocentesca a nord, che riprende motivi settecenteschi con due finestre rettangolari comprese da una coppia di finestre ovali, tutte munite di inferriate.

Le finestre originarie a piano terra sono esclusivamente in mattoni con architrave lievemente centinato.

La cadenzata modularità delle aperture incorniciate a piano primo, visibile prima del recente restauro, ha permesso il completo recupero filologico.


BARCHESSA A SUD.

L'attuale corpo di fabbrica ha sostituito, tra il 1813 e il 1829, il preesistente rustico di dimensioni analoghe a quello dianzi descritto.

Un elegantissimo colonnato a cinque fusti dorici regge una trabeazione, in pietra di Vicenza, di pregevole stile neoclassico.
Tutti i fori delle porte originarie e delle finestre sono incorniciati entro semplici elementi lapidei muniti di inferriate a rombi, analoghe a quelle della barchessa a nord.
L'interno appare variamente modulato e suddiviso a piano terra. A piano primo, un ampio salone (un tempo adibito all'allevamento dei bachi da seta) ne conclude il volume.


MURO DI CINTA.

Costituito da materiali composti (laterizi e ciotoli di fiume) disposti a corsi intervallati, richiama la tessitura del prospetto nord del complesso. Una cimasa triangolare in pietra sovrasta il muro a ovest, verso la strada principale. Eleganti cancelli, pedonali e carrai, in ferro battuto con fiocchi in piombo, consentono gli accessi alla villa.


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BIBLIOGRAFIA E FONTI

- Renato CEVESE - "Ville della provincia di Vicenza" - Vicenza, 1971; 1980 e fonti bibliografiche citate.
- ARCHIVIO DI STATO di Vicenza.
- BIBLIOTECA CIVICA BERTOLIANA di Vicenza

Combatenti per VICENZA 1848






Il 1848.

La Prima Guerra d'Indipendenza, scoppiata nel 1848 e conclusasi l'anno dopo, coinvolse anche il nostro Quartiere. L'intero Regno Lombardo-Veneto si era ribellato al dominio austriaco nel marzo del 1848 e aveva costretto le truppe di Vienna a rinchiudersi nel «Quadrilatero», le fortezze di Verona, Peschiera, Legnago e Mantova. Le città del Veneto avevano costituito dei Governi Provvisori (a Vicenza

La Prima Guerra d'Indipendenza, scoppiata nel 1848 e conclusasi l'anno dopo, coinvolse anche il nostro Quartiere. L'intero Regno Lombardo-Veneto si era ribellato al dominio austriaco nel marzo del 1848 e aveva costretto le truppe di Vienna a rinchiudersi nel «Quadrilatero», le fortezze di Verona, Peschiera, Legnago e Mantova. Le città del Veneto avevano costituito dei Governi Provvisori (a Vicenza ne era Presidente Gaetano Costantini, con membri tra gli altri,Sebastiano Tecchio, Giuseppe Mosconi, Gianpaolo Bonollo, fratelli Lodovico e Valentino Pasini) che aderivano alla Repubblica di San Marco instaurata a Venezia da Daniele Manin.
La città era difesa da volontari detti «Crociati» (poiché portavano sulla ciacca cucita una croce quale pegno di fedeltà a Pio IX, il pontefice che in quel periodo attirò le speranze dei patrioti italiani per il raggiungimento dell'indipendenza dall'Austria), provenienti da Bassano, Padova e Treviso, nonché, naturalmente, da Vicenza. Ad essi si aggiungevano il Corpo Franco di Schio, i battaglioni «Alto Reno», «Civico di Faenza», «Civico di Ravenna» e «Civico di Lugo», composti da volontari emiliano-romagnoli; si aggregarono infine, nel maggio del '48, le truppe pontificie del generale Giovanni Durando composte da due Reggimenti svizzeri con artiglieria, 400 dragoni, un corpo di carabinieri romani più altre truppe ancora.
L'Austria decideva di passare al contrattacco nell'aprile 1848, inviando un grosso Corpo d'Armata dalla Slovenia e dal goriziano a congiungersi con i reparti asserragliati nel «Quadrilatero». In questo modo le truppe austriache comandate prima dal generale conte Nugent, poi dal tenente-generale conte Thurn und Taxis, raggiunsero Udine, Treviso, Castelfranco e Cittadella presentandosi, il 20 maggio, davanti a Vicenza. Quello stesso giorno furono respinte, dopo duri combattimenti, a Porta Santa Lucia e girarono attorno alla città per scontrarsi nuovamente coi difensori il 21 maggio a Ponte Alto, senza avere ragione dei ribelli.
Intestarditisi nel conquistare Vicenza (la nostra città difatti è strategicamente rilevante per le comunicazioni col Tirolo tramite la Vallarsa, da cui sarebbero potuto affluire altre truppe austriache), gli ufficiali asburgici progettarono un nuovo attacco, dividendo i soldati in tre colonne pronte a scattare all'attacco alla mezzanotte del 23 maggio. La prima colonna, seguendo l'odierno viale Verona avrebbe attaccato la zona di San Felice, la seconda quella di Santa Croce e la terza avrebbe assalito di sorpresa i difensori della città dalla parte di Monte Berico. L'assalto dalla parte di Monte Berico non riuscì poiché i difensori avevano distrutto i ponti sui fiumi Dioma e Retrone di viale S. Agostino e rotto gli argini dello stesso Retrone, con conseguente inondazione delle campagne circostanti. Di conseguenza le truppe di questa colonna conversero, occupando la zona del nostro Quartiere, verso la «Loggetta» di S. Felice, unendosi alla colonna che arrivava da viale Verona. Alla «Loggetta» c'era una barricata difesa da volontari vicentini, da una Compagnia Civica di Pesaro e, come riserva, da due compagnie di Cacciatori pontifici. La villa Mosconi venne subito invasa e saccheggiata dalle truppe austriache, che piazzarono attorno ad essa una batteria dì cannoni da 12, composta da sei pezzi di questo calibro, più due obici.
I cannoni erano molto potenti, tanto che i difensori, nei loro ricordi, li definirono «micidiali». La batteria di Villa Mosconi inizialmente appoggiò l'attacco della fanteria contro le barricate lanciando proiettili e razzi. I cronisti dell'epoca ricordano come dalla Villa Mosconi «partivano incessanti proiettili» che facevano un effetto spettacolare nella notte. Le batterie vicentine, comandate dal famoso geologo e paleontologo Francesco Molon, erano piazzate su Monte Berico e iniziarono perciò a bersagliare i cannoni austriaci sfruttando la loro posizione favorevole. Il fuoco dei pezzi vicentini «rispondeva tanto vigorosamente da impedire ogni ulteriore vantaggio» agli austriaci che, sfondata la barricata della «Loggetta» avevano invaso la Chiesa ed il Convento di San Felice ed attaccavano Porta Castello. Difatti, ad un certo punto la batteria di Villa Mosconi «cambiò punteria e piuttosto che verso la città si diresse contro le artiglierie del Monte Berico». Il Molon ricorda come fosse stato «non di poco vantaggio costringere il nemico a cambiare punteria e l'avere sollevata la città dal micidiale fuoco dei cannoni austriaci da 12». Si impegnò così vivacissimo il duello d'artiglieria, che durò qualche ora. Un colpo dopo l'altro, i cannoni di Villa Mosconi furono messi a tacere, coinvolgendo nella loro rovina anche l'edificio attorno al quale erano attestati, gravemente danneggiato. Ma il colpo di grazia lo diedero gli stessi difensori della città che, dopo la ritirata austriaca seguita all'attacco lei 23-24 maggio, per premunirsi da altre offensive dalla parte di S. Agostino, usarono Villa Mosconi come fortino, costruendo un terrapieno «pel quale l'abbattimento di piante, la dispersione di fabbriche e prodotti, cagionarono guasti peritati lire 28 mila». Tra l'altro il forte non venne utilizzato nei successivi combattimenti del 10 giugno 1848 che videro gli austriaci conquistare Vicenza dopo averla assalita da Monte Berico.
Un rinfrescamento delle due lapidi che ricordano questi fatti storici (entrambe scarsamente leggibili) sarebbe a nostro avviso auspicabile per ricordare il coinvolgimento nel nostro Quartiere nella guerra del 1848, cosa che oggi, tra gli odierni abitanti, è completamente svanita dalla memoria.

(Tratto da: Spazi della storia spazi della memoria - Stocchiero Grafica Editrice - maggio 1988 - Archivio Storico Parrocchia S.Antonio - Vicenza)








Lapide commemorativa dei combattimenti del 1848 - Vicenza.

RICONOSCIMENTO DI '' STATUS DI RIFUGIATO ''

Riconoscimento dello status di rifugiato
La domanda viene accolta quando gli atti di persecuzione denunciati costituiscono una minaccia alla vita o alla libertà della persona


Possono richiedere asilo coloro che non possono o non vogliono tornare nel loro Paese perché temono persecuzioni.
Per richiedere il riconoscimento dello "status di rifugiato" è necessario presentare una domanda motivata e, nei limiti del possibile documentata, con l'indicazione delle persecuzioni subite e delle possibili ritorsioni in caso di rientro nel proprio Paese.

Il termine “persecuzione” non è definito nella convenzione di Ginevra. Il manuale dell’Unchr del 1992 chiarisce che “dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 si può dedurre che costituisce persecuzione ogni minaccia alla vita o alla libertà”.

atti di persecuzione (ai sensi dell’articolo 1A della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati)
atti sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
quando la somma di diverse misure - tra cui violazioni dei diritti umani - ha un impatto sufficientemente grave sulla persona
esempi di comportamenti persecutori
atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale
provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e\o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio
azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie
rifiuto di accesso ai mezzi di ricorso giuridici e conseguente sanzione sproporzionata e discriminatoria
azioni giudiziarie o sanzioni penali come conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini o reati
atti specificamente diretti contro un sesso o contro l’infanzia

venerdì 8 aprile 2011

Le radiazioni non muoiono mai. Chi mangia latte e verdure contaminate, anche a distanza di decenni, invece muore prima.

"A 25 anni di distanza da Cernobyl, una ricerca condotta in Ucraina rileva alti livelli di contaminazione radioattiva in molti alimenti di base, come latte e funghi. Lo scorso marzo sono stati analizzati 114 campioni di prodotti alimentari nelle aree di Rivnenska Oblast e Zhytomyrska Oblast e, per confronto, in varie località nell’area di Kiev. I campioni sono stati acquistati nei mercati locali oppure dai contadini. In un villaggio della regione di Rivnenska, sono state rilevate concentrazioni di Cesio-137 che nel 93% dei campioni di latte analizzati eccedono di un fattore compreso tra 1.2 e 16.3 volte i livelli previsti per i bambini in Ucraina. Dopo 25 anni, l’attenzione del mondo si è spostata altrove ma la contaminazione non scompare dall’oggi al domani. In Ucraina, 18.000 chilometri quadrati di terreni agricoli sono stati contaminati in seguito a Cernobyl e il 40% dei boschi, pari a una superficie di 35.000 km2, contaminati. A Fukushima, Greenpeace sta verificando circostanze identiche di contaminazione del latte e delle verdure." da Greenpeace, segnalazione di silvanetta* .
Ps: Le "Facce da nucleare" dell'opposizione che si sono assentate alla votazione per l'accorpamento del referendum con le elezioni amministrative sono: Capano, Cimadoro, Ciriello, D'Antona, Farina, Fassino, Fedi, Gozi, Madia, Mastromauro, Porcino, Samperi.
- Scarica il volantino delle "Facce da nucleare" e diffondilo
- Partecipa a "Spegni il nucleare" con il referendum su FB

http://www.beppegrillo.it/2011/04/il_latte_e_i_fu.html

mercoledì 23 marzo 2011

150 ANNI DELL'UNITA D'ITALIA ( TECCHIO )

Il Presidente Sebastiano Tecchio
Sebastiano Tecchio è nato a Vicenza il 3 gennaio 1807 ed è morto a Venezia 24 gennaio 1886. Consegue la laurea in giurisprudenza all'Università di Padova e si dedica all'attività forense; nel 1848 fa parte del governo provvisorio che proclama l'unione di Vicenza con l'insorta Venezia, combatte per la difesa della sua città dalle truppe austriache e si reca da Carlo Alberto latore dei plebisciti per l'unione del Veneto al Regno di Sardegna. Non torna a Vicenza ormai domata, ma viene eletto deputato al Parlamento subalpino ed è ministro dei Lavori Pubblici dal dicembre 1848 al marzo 1849. Viene costantemente rieletto nei collegi di Venasca e Carmagnola dalla I alla IX legislatura e continua a Torino la professione di avvocato. Allo scoppio della guerra del 1859 è inviato come Commissario straordinario nelle province invase dagli Austriaci, dopo Villafranca è membro del Comitato veneto di emigrazione e si prodiga in favore degli esuli. Già vicepresidente della Camera, ne è il presidente dal 22 marzo 1862 al 26 maggio 1863. Avversa decisamente la Convenzione di Settembre 1864; dopo essere tornato nella regione natale al termine della terza guerra d'indipendenza diviene presidente della Corte d'Appello di Venezia e nel novembre del 1866 lascia la Camera, primo dei veneti ad essere nominato senatore. Dall'Aprile all'Ottobre del 1867 è ministro di Grazia e Giustizia nel gabinetto Rattazzi e lega il suo nome alla legge sulla liquidazione dell'asse ecclesiastico. Lasciato l'incarico ministeriale riassume la presidenza della Corte di Appello di Venezia che tiene sino al raggiungimento dei limiti di età nel gennaio del 1882. E' presidente del Senato, dopo l'avvento della Sinistra al potere, dal 20 novembre 1876 al 27 luglio 1884, dimessosi dopo una protesta diplomatica dell'Austria-Ungheria per un suo patriottico discorso che, in occasione della commemorazione di Giovanni Prati, inneggiava all'italianità del Trentino. Nel marzo del 1878 era stato insignito da Umberto I del Collare dell'Annunziata. Negli ultimi anni della sua esistenza si ritira a vita privata nel Vicentino e muore a Venezia il 24 gennaio 1886 dopo una breve ed acuta malattia.





palazzo Trissino. Nell'atrio una targa spiega la medaglia d'oro al valor militare del 1848 mentre all'interno un busto celebra l'avvocato patriota TECCHIO SEBASTIANO.


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SEBASTIANO TECCHIO è nato a Vicenza il 3 gennaio 1807 ed è morto a Venezia 24 gennaio 1886

Consegue la laurea in giurisprudenza all'Università di Padova e si dedica all'attività forense; nel 1848 fa parte del governo provvisorio che proclama l'unione di Vicenza con l'insorta Venezia, combatte per la difesa della sua città dalle truppe austriache e si reca da Carlo Alberto latore dei plebisciti per l'unione del Veneto al Regno di Sardegna. Non torna a Vicenza ormai domata, ma viene eletto deputato al Parlamento subalpino ed è ministro dei Lavori Pubblici dal dicembre 1848 al marzo 1849. Viene costantemente rieletto nei collegi di Venasca e Carmagnola dalla I alla IX legislatura e continua a Torino la professione di avvocato.


Allo scoppio della guerra del 1859 è inviato come Commissario straordinario nelle province invase dagli Austriaci, dopo Villafranca è membro del Comitato veneto di emigrazione e si prodiga in favore degli esuli. Già vicepresidente della Camera, ne è il presidente dal 22 marzo 1862 al 26 maggio 1863.

Avversa decisamente la Convenzione di Settembre 1864; dopo essere tornato nella regione natale al termine della terza guerra d'indipendenza diviene presidente della Corte d'Appello di Venezia e nel novembre del 1866 lascia la Camera, primo dei veneti ad essere nominato senatore.

Dall'aprile all'ottobre del 1867 è ministro di Grazia e Giustizia nel gabinetto Rattazzi e lega il suo nome alla legge sulla liquidazione dell'asse ecclesiastico. Lasciato l'incarico ministeriale riassume la presidenza della Corte di Appello di Venezia che tiene sino al raggiungimento dei limiti di età nel gennaio del 1882. E' presidente del Senato, dopo l'avvento della Sinistra al potere, dal 20 novembre 1876 al 27 luglio 1884, dimessosi dopo una protesta diplomatica dell'Austria-Ungheria per un suo patriottico discorso che, in occasione della commemorazione di Giovanni Prati, inneggiava all'italianità del Trentino. Nel marzo del 1878 era stato insignito da Umberto I del Collare dell'Annunziata. Negli ultimi anni della sua esistenza si ritira a vita privata nel Vicentino e muore a Venezia il 24 gennaio 1886 dopo una breve ed acuta malattia.

FUKUSHIMA



As centrais nucleares de Fukushima
The plants at Fukushima are Boiling Water Reactors (BWR for short). A BWR produces electricity by boiling water, and spinning a turbine with that steam. The nuclear fuel heats water, the water boils and creates steam, the steam then drives turbines that create the electricity, and the steam is then cooled and condensed back to water, and the water returns to be heated by the nuclear fuel. The reactor operates at about 285 °C.
The nuclear fuel is uranium oxide. Uranium oxide is a ceramic with a very high melting point of about 2800 °C. The fuel is manufactured in pellets (cylinders that are about 1 cm tall and 1 com in diameter). These pellets are then put into a long tube made of Zircaloy (an alloy of zirconium) with a failure temperature of 1200 °C (caused by the auto-catalytic oxidation of water), and sealed tight. This tube is called a fuel rod. These fuel rods are then put together to form assemblies, of which several hundred make up the reactor core.
The solid fuel pellet (a ceramic oxide matrix) is the first barrier that retains many of the radioactive fission products produced by the fission process. The Zircaloy casing is the second barrier to release that separates the radioactive fuel from the rest of the reactor.
The core is then placed in the pressure vessel. The pressure vessel is a thick steel vessel that operates at a pressure of about 7 MPa (~70 atmosferas), and is designed to withstand the high pressures that may occur during an accident. The pressure vessel is the third barrier to radioactive material release.


The entire primary loop of the nuclear reactor – the pressure vessel, pipes, and pumps that contain the coolant (water) – are housed in the containment structure. This structure is the fourth barrier to radioactive material release. The containment structure is a hermetically (air tight) sealed, very thick structure made of steel and concrete. This structure is designed, built and tested for one single purpose: To contain, indefinitely, a complete core meltdown. To aid in this purpose, a large, thick concrete structure is poured around the containment structure and is referred to as the secondary containment.

Both the main containment structure and the secondary containment structure are housed in the reactor building. The reactor building is an outer shell that is supposed to keep the weather out, but nothing in (this is the part that was damaged in the explosions, but more to that later).

Fundamentos sobre a reacção nuclear
The uranium fuel generates heat by neutron-induced nuclear fission. Uranium atoms are split into lighter atoms (aka fission products). This process generates heat and more neutrons (one of the particles that forms an atom). When one of these neutrons hits another uranium atom, that atom can split, generating more neutrons and so on. That is called the nuclear chain reaction. During normal, full-power operation, the neutron population in a core is stable (remains the same) and the reactor is in a critical state.
It is worth mentioning at this point that the nuclear fuel in a reactor can never cause a nuclear explosion like a nuclear bomb. At Chernobyl, the explosion was caused by excessive pressure buildup, hydrogen explosion and rupture of all structures, propelling molten core material into the environment. Note that Chernobyl did not have a containment structure as a barrier to the environment. Why that did not and will not happen in Japan, is discussed further below.
In order to control the nuclear chain reaction, the reactor operators use control rods. The control rods are made of boron which absorbs neutrons. During normal operation in a BWR, the control rods are used to maintain the chain reaction at a critical state. The control rods are also used to shut the reactor down from 100% power to about 7% power (residual or decay heat).
The residual heat is caused from the radioactive decay of fission products. Radioactive decay is the process by which the fission products stabilize themselves by emitting energy in the form of small particles (alpha, beta, gamma, neutron, etc.). There is a multitude of fission products that are produced in a reactor, including cesium and iodine. This residual heat decreases over time after the reactor is shutdown, and must be removed by cooling systems to prevent the fuel rod from overheating and failing as a barrier to radioactive release. Maintaining enough cooling to remove the decay heat in the reactor is the main challenge in the affected reactors in Japan right now.
It is important to note that many of these fission products decay (produce heat) extremely quickly, and become harmless by the time you spell “R-A-D-I-O-N-U-C-L-I-D-E.” Others decay more slowly, like some cesium, iodine, strontium, and argon.

O que aconteceu em Fukushima em 11 de Março
The following is a summary of the main facts. The earthquake that hit Japan was several times more powerful than the worst earthquake the nuclear power plant was built for (the Richter scale works logarithmically; for example the difference between an 8.2 and the 8.9 that happened is 5 times, not 0.7).
When the earthquake hit, the nuclear reactors all automatically shutdown. Within seconds after the earthquake started, the control rods had been inserted into the core and the nuclear chain reaction stopped. At this point, the cooling system has to carry away the residual heat, about 7% of the full power heat load under normal operating conditions.
The earthquake destroyed the external power supply of the nuclear reactor. This is a challenging accident for a nuclear power plant, and is referred to as a “loss of offsite power.” The reactor and its backup systems are designed to handle this type of accident by including backup power systems to keep the coolant pumps working. Furthermore, since the power plant had been shut down, it cannot produce any electricity by itself.
For the first hour, the first set of multiple emergency diesel power generators started and provided the electricity that was needed. However, when the tsunami arrived (a very rare and larger than anticipated tsunami) it flooded the diesel generators, causing them to fail.
One of the fundamental tenets of nuclear power plant design is “Defense in Depth.” This approach leads engineers to design a plant that can withstand severe catastrophes, even when several systems fail. A large tsunami that disables all the diesel generators at once is such a scenario, but the tsunami of March 11th was beyond all expectations. To mitigate such an event, engineers designed an extra line of defense by putting everything into the containment structure (see above), that is designed to contain everything inside the structure.
When the diesel generators failed after the tsunami, the reactor operators switched to emergency battery power. The batteries were designed as one of the backup systems to provide power for cooling the core for 8 hours. And they did.
After 8 hours, the batteries ran out, and the residual heat could not be carried away any more. At this point the plant operators begin to follow emergency procedures that are in place for a “loss of cooling event.” These are procedural steps following the “Depth in Defense” approach. All of this, however shocking it seems to us, is part of the day-to-day training you go through as an operator.
At this time people started talking about the possibility of core meltdown, because if cooling cannot be restored, the core will eventually melt (after several days), and will likely be contained in the containment. Note that the term “meltdown” has a vague definition. “Fuel failure” is a better term to describe the failure of the fuel rod barrier (Zircaloy). This will occur before the fuel melts, and results from mechanical, chemical, or thermal failures (too much pressure, too much oxidation, or too hot).
However, melting was a long ways from happening and at this time, the primary goal was to manage the core while it was heating up, while ensuring that the fuel cladding remain intact and operational for as long as possible.
Because cooling the core is a priority, the reactor has a number of independent and diverse cooling systems (the reactor water cleanup system, the decay heat removal, the reactor core isolating cooling, the standby liquid cooling system, and others that make up the emergency core cooling system). Which one(s) failed when or did not fail is not clear at this point in time.
Since the operators lost most of their cooling capabilities due to the loss of power, they had to use whatever cooling system capacity they had to get rid of as much heat as possible. But as long as the heat production exceeds the heat removal capacity, the pressure starts increasing as more water boils into steam. The priority now is to maintain the integrity of the fuel rods by keeping the temperature below 1200°C, as well as keeping the pressure at a manageable level. In order to maintain the pressure of the system at a manageable level, steam (and other gases present in the reactor) have to be released from time to time. This process is important during an accident so the pressure does not exceed what the components can handle, so the reactor pressure vessel and the containment structure are designed with several pressure relief valves. So to protect the integrity of the vessel and containment, the operators started venting steam from time to time to control the pressure.
As mentioned previously, steam and other gases are vented. Some of these gases are radioactive fission products, but they exist in small quantities. Therefore, when the operators started venting the system, some radioactive gases were released to the environment in a controlled manner (ie in small quantities through filters and scrubbers). While some of these gases are radioactive, they did not pose a significant risk to public safety to even the workers on site. This procedure is justified as its consequences are very low, especially when compared to the potential consequences of not venting and risking the containment structures’ integrity.
During this time, mobile generators were transported to the site and some power was restored. However, more water was boiling off and being vented than was being added to the reactor, thus decreasing the cooling ability of the remaining cooling systems. At some stage during this venting process, the water level may have dropped below the top of the fuel rods. Regardless, the temperature of some of the fuel rod cladding exceeded 1200°C, initiating a reaction between the Zircaloy and water. This oxidizing reaction produces hydrogen gas, which mixes with the gas-steam mixture being vented. This is a known and anticipated process, but the amount of hydrogen gas produced was unknown because the operators didn’t know the exact temperature of the fuel rods or the water level. Since hydrogen gas is extremely combustible, when enough hydrogen gas is mixed with air, it reacts with oxygen. If there is enough hydrogen gas, it will react rapidly, producing an explosion. At some point during the venting process enough hydrogen gas built up inside the containment (there is no air in the containment), so when it was vented to the air an explosion occurred. The explosion took place outside of the containment, but inside and around the reactor building (which has no safety function). Note that a subsequent and similar explosion occurred at the Unit 3 reactor. This explosion destroyed the top and some of the sides of the reactor building, but did not damage the containment structure or the pressure vessel. While this was not an anticipated event, it happened outside the containment and did not pose a risk to the plant’s safety structures.
Since some of the fuel rod cladding exceeded 1200°C, some fuel damage occurred. The nuclear material itself was still intact, but the surrounding Zircaloy shell had started failing. At this time, some of the radioactive fission products (cesium, iodine, etc.) started to mix with the water and steam. It was reported that a small amount of cesium and iodine was measured in the steam that was released into the atmosphere.
Since the reactor’s cooling capability was limited, and the water inventory in the reactor was decreasing, engineers decided to inject sea water (mixed with boric acid – a neutron absorber) to ensure the rods remain covered with water. Although the reactor had been shut down, boric acid is added as a conservative measure to ensure the reactor stays shut down. Boric acid is also capable of trapping some of the remaining iodine in the water so that it cannot escape, however this trapping is not the primary function of the boric acid.
The water used in the cooling system is purified, demineralized water. The reason to use pure water is to limit the corrosion potential of the coolant water during normal operation. Injecting seawater will require more cleanup after the event, but provided cooling at the time.
This process decreased the temperature of the fuel rods to a non-damaging level. Because the reactor had been shut down a long time ago, the decay heat had decreased to a significantly lower level, so the pressure in the plant stabilized, and venting was no longer required.

GIAPPONE: NUBE RADIOATTIVA PUO' ARRIVARE IN ITALIA MA VALORI BASSI

E' possibile" che la nube radioattiva generata con l'incidente nucleare in Giappone arrivi anche in Italia, ma "con valori di contaminazione veramente minimi, che qualche anno fa non avremmo neanche misurato, quindi senza alcun rischio per la salute". Lo sottolinea Giancarlo Torri, responsabile del Servizio misure radiometriche del Dipartimento nucleare dell'Ispra. "Noi - spiega Torri - non abbiamo elementi per dire se la nube arrivera' o no. L'agenzia per la sicurezza nucleare francese dice che tra domani e dopodomani e' attesa in Francia, quindi e' ovvio che in questo caso arriverebbe anche da noi. Allo stato le nostre misurazioni sono tutte negative".

MODELLO PROPAGAZIONE NUBE RADIOATTIVA "NILU"

Giancarlo Torri assicura di aver comunque "chiesto alle Arpa regionali di intensificare le misure di sorveglianza. Se dovesse arrivare una nube radioattiva ne avremmo subito notizia certa sulla base degli esami. Ma, ripeto, si tratterebbe comunque di valori minimi: la nube sprigionata dai reattori della centrale di Fukushima si e' diretta ad est, e ha dovuto quindi attraversare il Pacifico, l'America e tutto l'Atlantico.
Sara' estremamente diluita, migliaia di volte meno di Chernobyl, per intenderci. Sono da escludere rischi per la salute".
FONTI: http://www.agi.it/cronaca/notizie/giappone-nube-radioattiva-puo-arrivare-in-italia-ma-valori-bassi

mercoledì 23 febbraio 2011

VIAGGIARE SICURI

Comunicazione
22.02.2011
Prima di partire verso l’estero visitate viaggiaresicuri.it e registratevi su dovesiamonelmondo.it
I due siti, gestiti dall’unità di crisi della Farnesina, offrono un servizio per garantire la sicurezza dei viaggiatori italiani, soprattutto nelle aree del mondo a rischio


Prima di partire consultate sempre il sito www.viaggiaresicuri.it e ricordatevi di iscrivervi su www.dovesiamonelmondo.it. E’ il messaggio che il ministro degli Esteri Franco Frattini ha inviato agli italiani in partenza verso l’estero, ai quali l’unità di crisi della Farnesina mette a disposizione la possibilità di conoscere tutte le informazioni e le situazioni di rischio del paese che si vuole raggiungere.

Il sito viaggiaresicuri.it consente di fornire in tempo reale, attraverso la rete diplomatico-consolare italiana, le informazioni sulle condizioni di tutti i paesi del mondo, con particolare riferimento alla situazione corrente: problemi di sicurezza, fenomeni atmosferici, epidemie, calamità naturali, attentati terroristici. Le notizie contenute nel sito si possono acquisire anche attraverso la centrale operativa telefonica, attiva tutti i giorni, dall'Italia al numero 06 491115 e dall'estero allo +39 06 491115.

Dovesiamonelmondo.it, invece, offre ai turisti italiani la possibilità di segnalare la propria presenza all’estero. Ciò permette all’unità di crisi di rintracciare con la massima tempestività il viaggiatore, in caso d’emergenza. E' possibile segnalare il viaggio indicando i dati anagrafici, l’itinerario ed un numero di cellulare. Se non si ha internet a disposizione, la registrazione potrà essere fatta anche via sms al numero 320 2043424 o per telefono allo 011 2219018.

I dati saranno inseriti nella banca dati del centro operativo, garantendone la privacy del viaggiatore: la registrazione sarà infatti automaticamente cancellata 2 giorni dopo la data di rientro in Italia indicata.

I due siti internet saranno a breve raggiungibili direttamente anche da tutti i modelli di tablet e smartphone.