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lunedì 12 novembre 2012

STEMMA



© Ministero dell'Interno. Tutti i diritti riservati

solidarietà sociale governo italiano T-Systems Italia


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giovedì 5 maggio 2011

L'ULIVO




Se volete un alberello in terrazzo, tra le piante più indicate c’è l’ulivo. In questo periodo (primavera) nei vivai se ne trova un’ampia scelta. Solitamente si tratta di esemplari giovani, di 4 anni, alti circa 150 centimetri. L’ulivo cresce bene in vaso perchè ha un apparato radicale piuttosto superficiale, e il suo bello sta nel fatto che non perde mai le foglie, e si riempie di frutti verdi (acerbi) e neri una volta maturi. Unico neo: non sopporta il freddo se la temperatura scende per molti giorni sotto i 10 gradi. La pianta quasi sicuramente morirà in questo caso.
Ecco come prendersi cura dell’ulivo:

d’inverno, nelle regioni del nord Italia conviene collocare l’ulivo vicino a un muro esposto a sud, oppure a ridosso di un muro che separa la casa dal terrazzo, in modo da non lasciarlo in balia del vento e permettergli di ricevere il tepore proveniente dall’appartamento
un’altra protezione si può avere spruzzando sulla chioma dell’ossicloruro di rame. Questa sostanza si trova nei comuni garden center. Le foglie diventeranno più spesse. In questo modo saranno più resistenti ai rigori invernali.
bisogna inoltre bagnare tutte le volte che il terreno è asciutto, evitando però i ristagni di acqua nel sottovaso, che saranno uno dei principali nemici
ricordarsi che gli ulivi prediligono il terriccio composto per metà dal lapilli vulcanici, oppure da pietra pomice.

lunedì 25 aprile 2011

VILLA TECCHIO



RELAZIONE STORICA

1600 e precedenti:
Famiglia GARBINATI

Inizi del 1600:
Geronimo GARBINATI

Metà del 1.600:
Antonio GARBINATI

Dalla metà del 1600 fino al 1700:
Famiglia GARBINATI

Metà del 1700:
Francesco GARBINATI

Seconda metà del 1.700:
Giovanni GARBINATI

Dalla fine del 1700 fino al 1805:
Eredi del fu Giovanni GARBINATI (Cecilia, Maddalena e Francesca GARBINATI)

Dal 1809 al 1813:
Capitano Ignazio DI FRANCESCO;
Maddalena GARBINATI LAGHI;
Francesca GARBINATI TECCHIO.

Dal 1829 al 1850:
Francesco TECCHIO del fu Sebastiano.

Dal 1850 al 1920 (circa):
Famiglia TECCHIO.


Dal 1920 (circa) al 1936:
Famiglia MORGANTE

Dal 1936 al 1989:
Famiglia GIARETTA

Dal 1989:
Famiglia ZANOTTI FRAGONARA RIGO


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Il complesso di VILLA GARBINATI, ora ZANOTTI FRAGONARA RIGO, sorge in località Lupiola di Sandrigo, in provincia di Vicenza.
Esso si articola in più corpi di fabbrica variamente accostati.
Attualmente il complesso è costituito da un corpo principale su tre piani, la villa vera e propria, con facciata principale rivolta a ovest.
A detto corpo si aggancia, a est, la torre colombara, che ai primi tre livelli funge da corpo scale della villa stessa. In prosecuzione della torre colombara, verso sud, si articola la barchessa maggiore, su due piani, con orientazione nord-sud e con portico a tutta altezza prospiciente il giardino interno, verso ovest.
A nord della villa è ubicato, in posizione leggermente ruotata rispetto a tutti gli altri corpi di fabbrica, un edificio in stile neogotico a pianta quadrata su due piani. Allo spigolo nord-ovest di questo si accosta un lungo edificio ad un piano, ad uso serra, addossato al muro di cinta. In prosecuzione di questo si trova un basso colonnato, con capitelli d'epoca gotica, che si estende fino al muro di cinta verso la strada comunale ad ovest. In corrispondenza dello spigolo nord-est della villa si trova un lungo edificio a due piani, con orientazione nord-sud come l'altra barchessa dianzi descritta.

L'intero complesso di cui sopra è perimetrato a nord, ovest e sud da un muro di cinta che racchiude il giardino interno. La chiusura ad est è costituita dalle pareti del rustico nord e della barchessa sopra descritte.

Fa parte del complesso anche il parco esterno al muro di cinta che si estende a nord fino alla via Santa Cristina e a sud fino al rio Dindarello.



Da un'attenta analisi della documentazione raccolta da varie fonti bibliografiche e archivistiche, combinate con indagini in sito sulla tessitura e compagine muraria, nonché sulla possibile successione esecutiva degli interventi, si può ipotizzare, con sufficiente approssimazione, un'evoluzione del manufatto nel tempo, secondo le seguenti fasi:


1^ FASE: (nucleo cinquecentesco e antecedenti)

Difficile stabilire con certezza la composizione originaria del nucleo che aveva comunque, come elemento principale, la torre colombara.
Le trasformazioni morfologiche attuate su tale nucleo hanno sostanzialmente celato o comunque modificato la gran parte dell'impianto originario, anche se questo è servito poi come elemento di base per l'evoluzione del manufatto.
Riferendosi alle indagini svolte e agli elementi catastali e cartografici, si può supporre che l'impianto preesistente fosse composto, oltre che dalla torre summenzionata, anche da un volume centrale adiacente, su cui si imposterà poi l'intervento seicentesco della villa.
La collocazione isolata della torre fa presumere, per analogia, un uso diverso per la stessa, quale torre di avvistamento alto-medioevale, anche se tale circostanza, allo stato attuale di conoscenze, è difficilmente dimostrabile.


2^ FASE: (nucleo cinque-seicentesco)

Si presume che in questa fase si stabilizzi l'uso agricolo del complesso originario con l'addizione di due lunghi edifici rustici allineati, a nord e a sud della torre, e dell'attuale edificio neogotico, all'epoca già disposto trasversalmente con un'asse inclinato rispetto al nucleo principale.
Saggi fondazionali e murari ci hanno consentito di risalire alla composizione planimetrica dei manufatti così come descritti.
Il complesso, all'epoca, aveva una sua integrità rispetto all'uso cui era destinato: presumibilmente il rustico sud comprendeva l'unità residenziale, come troviamo in epoca successiva, mentre il rustico nord ospitava attività prettamente agricole quali cantina, rimessa, granaio.


3^ FASE: (nucleo seicentesco / 1672)

Durante questa fase si sviluppa l'assetto planimetrico quasi definitivo; in particolare si erge la casa padronale della famiglia Garbinati nel 1672, consolidando l'uso agricolo dell'intero complesso.
Tale opera amplia il volume centrale preesistente prossimo alla torre colombara, che viene utilizzata per accogliere il vano scala della villa, mentre le barchesse non subiscono sostanziali modifiche.


4^ FASE: (nucleo dei primi dell'ottocentesco)

Gli interventi ottocenteschi riguardano sostanzialmente la sistemazione degli annessi rustici, così come testimoniato dai catasti analizzati.

Detti interventi si identificano con:

- la realizzazione della serra e del nuovo muro di cinta a nord;
- l'allungamento, verso nord, del corrispondente rustico che viene così a costituire lo spigolo nord-est del complesso;
- la ricomposizione dei prospetti del rustico stesso, con la chiusura di alcune finestre originarie a piano primo e l'apertura di nuove finestre incorniciate in pietra di Vicenza;
- la demolizione del rustico a sud e la sua ricostruzione alquanto ampliata, come barchessa, così come oggi ci appare, ad uso di abitazione e per l'allevamento del baco da seta, con inserimento di una loggia di colonne doriche.

E' questa l'impostazione più unitaria, organica e armonica dell'intero complesso.


5^ FASE: (interventi e superfetazioni novecentesche)

Nella prima metà del novecento, si sono operati alcuni interventi avulsi dalla concezione originaria del complesso, che tuttavia sono stati rimossi, ridando chiarezza ai collegamenti tra serra-neogotico e rustico nord.



6^ FASE: (dall'anno 1990 in poi)

In quest'ultima fase, avviata a partire dal 1990, sono stati eliminati i volumi estranei ad una ordinata ricomposizione dell'originario complesso. Sono state restaurate tutte le coperture e la barchessa sud è stata pienamente recuperata al primitivo splendore.



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RELAZIONE ARTISTICA


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VILLA.

La villa, nella sua facciata principale, presenta una tessitura compositiva consueta alle architetture vicentine del secondo seicento.

L'elemento caratterizzante il prospetto principale (ovest) è un frontone triangolare recante nel timpano lo stemma della famiglia Garbinati e una targa lapidea ("REI RUSTICAE INCREMENTO ET AGRICOLARUM COMMODO ANTONIUS GARBINATUS HIERONYMI FILIUS EXCITAVIT MDCLXXII"). La facciata è scandita da un ordine di lesene joniche, con balaustre negli intercolumni, poste al di sopra della fascia bugnata a tutta altezza del piano terreno.
Per il resto, detto prospetto si sviluppa simmetricamente con elementi di finitura e decorativi di elegante semplicità con mascheroni in chiave di volta degli archi, ed eleganti cornici che cingono le finestre.

Una meridiana affrescata è situata all'altezza del piano primo della facciata sud della villa.

Nei rimanenti prospetti troviamo finestre con analoghe cornici e inferriate di fattura ottocentesca che hanno parzialmente sostituito le preesistenti.

All'interno della villa, nella grande sala centrale d'ingresso, stanno in precisa simmetria le quattro porte, a cimasa orizzontale, che immettono alle quattro stanze laterali, mentre la parete di fondo s'apre nella diade di due archi, con soprastanti mascheroni e su pilastro intermedio, che danno accesso alla scala ricavata nel volume della antica torre colombara.

Di pregevole fattura i caminetti, di cui quello posto nella stanza d'angolo nord-ovest, di fattura cinquecentesca in marmo rosso di Verona, risulta di particolare pregio.

Tutti gli elementi e fregi architettonici sopra descritti sono in pietra di Vicenza.


NEOGOTICO E SERRA.

Già si è avuto modo di palesare la possibile genesi ed evoluzione di detto manufatto, la cui peculiare caratteristica risulta essere l'inserimento di elementi gotici originali di grande pregio e di pregevole fattura, in marmo rosso di Verona, compositivamente integrati e associati ad altri elementi in pietra di Vicenza, dei primi dell'ottocento.

Il prospetto principale (sud) è caratterizzato da una pregevole trifora, posta in specchiatura rettangolare con cornice a doppia dentellatura e con pennacchi, ai vertici degli archi trilobi inflessi, a loro volta compresi entro un'ampia ghiera inflessa a quattro centri, affiancati da patère trafitte da spilloni, a cui corrispondono, al piano primo, tre finestre quadrilobate con cornice a scacchi.

Pregevole pure il prospetto ovest, caratterizzato da tre monofore, singolarmente incorniciate, con cornice a doppia dentellatura, i cui archi inflessi polilobati sono sovrastati da pennacchi affiancati anch'essi da patère trafitte da spilloni, sovrastate da altrettante finestre quadrilobate come per il prospetto sud.

Un elegante fregio di cornice, composto da una teoria di archetti trilobati inflessi, termina le facciate sud e ovest.

I fori di porte e finestre degli altri due prospetti (nord ed est) sono invece incorniciati da semplici elementi in pietra di Vicenza. Le finestre sono dotate di inferriate di fattura dei primi dell'ottocento, come per la villa sopra descritta.

L'adiacente serra, il cui prospetto principale è rivolto a sud, è scandita da otto aperture con sopraluce. A ovest, procedendo verso il muro di cinta sulla strada principale, una elegante serie di capitelli originari gotici sovrasta un corrispondente basso colonnato per terminare in un prezioso cancello in ferro battuto sul muro di cinta summenzionato.


RUSTICO A NORD.

Le finestre aperte a piano primo, come già detto, risultano incorniciate da semplici elementi retti in pietra di Vicenza, con inferriate a rombi dei primi dell'ottocento.
Elegante la facciata ottocentesca a nord, che riprende motivi settecenteschi con due finestre rettangolari comprese da una coppia di finestre ovali, tutte munite di inferriate.

Le finestre originarie a piano terra sono esclusivamente in mattoni con architrave lievemente centinato.

La cadenzata modularità delle aperture incorniciate a piano primo, visibile prima del recente restauro, ha permesso il completo recupero filologico.


BARCHESSA A SUD.

L'attuale corpo di fabbrica ha sostituito, tra il 1813 e il 1829, il preesistente rustico di dimensioni analoghe a quello dianzi descritto.

Un elegantissimo colonnato a cinque fusti dorici regge una trabeazione, in pietra di Vicenza, di pregevole stile neoclassico.
Tutti i fori delle porte originarie e delle finestre sono incorniciati entro semplici elementi lapidei muniti di inferriate a rombi, analoghe a quelle della barchessa a nord.
L'interno appare variamente modulato e suddiviso a piano terra. A piano primo, un ampio salone (un tempo adibito all'allevamento dei bachi da seta) ne conclude il volume.


MURO DI CINTA.

Costituito da materiali composti (laterizi e ciotoli di fiume) disposti a corsi intervallati, richiama la tessitura del prospetto nord del complesso. Una cimasa triangolare in pietra sovrasta il muro a ovest, verso la strada principale. Eleganti cancelli, pedonali e carrai, in ferro battuto con fiocchi in piombo, consentono gli accessi alla villa.


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BIBLIOGRAFIA E FONTI

- Renato CEVESE - "Ville della provincia di Vicenza" - Vicenza, 1971; 1980 e fonti bibliografiche citate.
- ARCHIVIO DI STATO di Vicenza.
- BIBLIOTECA CIVICA BERTOLIANA di Vicenza

Combatenti per VICENZA 1848






Il 1848.

La Prima Guerra d'Indipendenza, scoppiata nel 1848 e conclusasi l'anno dopo, coinvolse anche il nostro Quartiere. L'intero Regno Lombardo-Veneto si era ribellato al dominio austriaco nel marzo del 1848 e aveva costretto le truppe di Vienna a rinchiudersi nel «Quadrilatero», le fortezze di Verona, Peschiera, Legnago e Mantova. Le città del Veneto avevano costituito dei Governi Provvisori (a Vicenza

La Prima Guerra d'Indipendenza, scoppiata nel 1848 e conclusasi l'anno dopo, coinvolse anche il nostro Quartiere. L'intero Regno Lombardo-Veneto si era ribellato al dominio austriaco nel marzo del 1848 e aveva costretto le truppe di Vienna a rinchiudersi nel «Quadrilatero», le fortezze di Verona, Peschiera, Legnago e Mantova. Le città del Veneto avevano costituito dei Governi Provvisori (a Vicenza ne era Presidente Gaetano Costantini, con membri tra gli altri,Sebastiano Tecchio, Giuseppe Mosconi, Gianpaolo Bonollo, fratelli Lodovico e Valentino Pasini) che aderivano alla Repubblica di San Marco instaurata a Venezia da Daniele Manin.
La città era difesa da volontari detti «Crociati» (poiché portavano sulla ciacca cucita una croce quale pegno di fedeltà a Pio IX, il pontefice che in quel periodo attirò le speranze dei patrioti italiani per il raggiungimento dell'indipendenza dall'Austria), provenienti da Bassano, Padova e Treviso, nonché, naturalmente, da Vicenza. Ad essi si aggiungevano il Corpo Franco di Schio, i battaglioni «Alto Reno», «Civico di Faenza», «Civico di Ravenna» e «Civico di Lugo», composti da volontari emiliano-romagnoli; si aggregarono infine, nel maggio del '48, le truppe pontificie del generale Giovanni Durando composte da due Reggimenti svizzeri con artiglieria, 400 dragoni, un corpo di carabinieri romani più altre truppe ancora.
L'Austria decideva di passare al contrattacco nell'aprile 1848, inviando un grosso Corpo d'Armata dalla Slovenia e dal goriziano a congiungersi con i reparti asserragliati nel «Quadrilatero». In questo modo le truppe austriache comandate prima dal generale conte Nugent, poi dal tenente-generale conte Thurn und Taxis, raggiunsero Udine, Treviso, Castelfranco e Cittadella presentandosi, il 20 maggio, davanti a Vicenza. Quello stesso giorno furono respinte, dopo duri combattimenti, a Porta Santa Lucia e girarono attorno alla città per scontrarsi nuovamente coi difensori il 21 maggio a Ponte Alto, senza avere ragione dei ribelli.
Intestarditisi nel conquistare Vicenza (la nostra città difatti è strategicamente rilevante per le comunicazioni col Tirolo tramite la Vallarsa, da cui sarebbero potuto affluire altre truppe austriache), gli ufficiali asburgici progettarono un nuovo attacco, dividendo i soldati in tre colonne pronte a scattare all'attacco alla mezzanotte del 23 maggio. La prima colonna, seguendo l'odierno viale Verona avrebbe attaccato la zona di San Felice, la seconda quella di Santa Croce e la terza avrebbe assalito di sorpresa i difensori della città dalla parte di Monte Berico. L'assalto dalla parte di Monte Berico non riuscì poiché i difensori avevano distrutto i ponti sui fiumi Dioma e Retrone di viale S. Agostino e rotto gli argini dello stesso Retrone, con conseguente inondazione delle campagne circostanti. Di conseguenza le truppe di questa colonna conversero, occupando la zona del nostro Quartiere, verso la «Loggetta» di S. Felice, unendosi alla colonna che arrivava da viale Verona. Alla «Loggetta» c'era una barricata difesa da volontari vicentini, da una Compagnia Civica di Pesaro e, come riserva, da due compagnie di Cacciatori pontifici. La villa Mosconi venne subito invasa e saccheggiata dalle truppe austriache, che piazzarono attorno ad essa una batteria dì cannoni da 12, composta da sei pezzi di questo calibro, più due obici.
I cannoni erano molto potenti, tanto che i difensori, nei loro ricordi, li definirono «micidiali». La batteria di Villa Mosconi inizialmente appoggiò l'attacco della fanteria contro le barricate lanciando proiettili e razzi. I cronisti dell'epoca ricordano come dalla Villa Mosconi «partivano incessanti proiettili» che facevano un effetto spettacolare nella notte. Le batterie vicentine, comandate dal famoso geologo e paleontologo Francesco Molon, erano piazzate su Monte Berico e iniziarono perciò a bersagliare i cannoni austriaci sfruttando la loro posizione favorevole. Il fuoco dei pezzi vicentini «rispondeva tanto vigorosamente da impedire ogni ulteriore vantaggio» agli austriaci che, sfondata la barricata della «Loggetta» avevano invaso la Chiesa ed il Convento di San Felice ed attaccavano Porta Castello. Difatti, ad un certo punto la batteria di Villa Mosconi «cambiò punteria e piuttosto che verso la città si diresse contro le artiglierie del Monte Berico». Il Molon ricorda come fosse stato «non di poco vantaggio costringere il nemico a cambiare punteria e l'avere sollevata la città dal micidiale fuoco dei cannoni austriaci da 12». Si impegnò così vivacissimo il duello d'artiglieria, che durò qualche ora. Un colpo dopo l'altro, i cannoni di Villa Mosconi furono messi a tacere, coinvolgendo nella loro rovina anche l'edificio attorno al quale erano attestati, gravemente danneggiato. Ma il colpo di grazia lo diedero gli stessi difensori della città che, dopo la ritirata austriaca seguita all'attacco lei 23-24 maggio, per premunirsi da altre offensive dalla parte di S. Agostino, usarono Villa Mosconi come fortino, costruendo un terrapieno «pel quale l'abbattimento di piante, la dispersione di fabbriche e prodotti, cagionarono guasti peritati lire 28 mila». Tra l'altro il forte non venne utilizzato nei successivi combattimenti del 10 giugno 1848 che videro gli austriaci conquistare Vicenza dopo averla assalita da Monte Berico.
Un rinfrescamento delle due lapidi che ricordano questi fatti storici (entrambe scarsamente leggibili) sarebbe a nostro avviso auspicabile per ricordare il coinvolgimento nel nostro Quartiere nella guerra del 1848, cosa che oggi, tra gli odierni abitanti, è completamente svanita dalla memoria.

(Tratto da: Spazi della storia spazi della memoria - Stocchiero Grafica Editrice - maggio 1988 - Archivio Storico Parrocchia S.Antonio - Vicenza)








Lapide commemorativa dei combattimenti del 1848 - Vicenza.

RICONOSCIMENTO DI '' STATUS DI RIFUGIATO ''

Riconoscimento dello status di rifugiato
La domanda viene accolta quando gli atti di persecuzione denunciati costituiscono una minaccia alla vita o alla libertà della persona


Possono richiedere asilo coloro che non possono o non vogliono tornare nel loro Paese perché temono persecuzioni.
Per richiedere il riconoscimento dello "status di rifugiato" è necessario presentare una domanda motivata e, nei limiti del possibile documentata, con l'indicazione delle persecuzioni subite e delle possibili ritorsioni in caso di rientro nel proprio Paese.

Il termine “persecuzione” non è definito nella convenzione di Ginevra. Il manuale dell’Unchr del 1992 chiarisce che “dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 si può dedurre che costituisce persecuzione ogni minaccia alla vita o alla libertà”.

atti di persecuzione (ai sensi dell’articolo 1A della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati)
atti sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
quando la somma di diverse misure - tra cui violazioni dei diritti umani - ha un impatto sufficientemente grave sulla persona
esempi di comportamenti persecutori
atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale
provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e\o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio
azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie
rifiuto di accesso ai mezzi di ricorso giuridici e conseguente sanzione sproporzionata e discriminatoria
azioni giudiziarie o sanzioni penali come conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini o reati
atti specificamente diretti contro un sesso o contro l’infanzia

venerdì 8 aprile 2011

Le radiazioni non muoiono mai. Chi mangia latte e verdure contaminate, anche a distanza di decenni, invece muore prima.

"A 25 anni di distanza da Cernobyl, una ricerca condotta in Ucraina rileva alti livelli di contaminazione radioattiva in molti alimenti di base, come latte e funghi. Lo scorso marzo sono stati analizzati 114 campioni di prodotti alimentari nelle aree di Rivnenska Oblast e Zhytomyrska Oblast e, per confronto, in varie località nell’area di Kiev. I campioni sono stati acquistati nei mercati locali oppure dai contadini. In un villaggio della regione di Rivnenska, sono state rilevate concentrazioni di Cesio-137 che nel 93% dei campioni di latte analizzati eccedono di un fattore compreso tra 1.2 e 16.3 volte i livelli previsti per i bambini in Ucraina. Dopo 25 anni, l’attenzione del mondo si è spostata altrove ma la contaminazione non scompare dall’oggi al domani. In Ucraina, 18.000 chilometri quadrati di terreni agricoli sono stati contaminati in seguito a Cernobyl e il 40% dei boschi, pari a una superficie di 35.000 km2, contaminati. A Fukushima, Greenpeace sta verificando circostanze identiche di contaminazione del latte e delle verdure." da Greenpeace, segnalazione di silvanetta* .
Ps: Le "Facce da nucleare" dell'opposizione che si sono assentate alla votazione per l'accorpamento del referendum con le elezioni amministrative sono: Capano, Cimadoro, Ciriello, D'Antona, Farina, Fassino, Fedi, Gozi, Madia, Mastromauro, Porcino, Samperi.
- Scarica il volantino delle "Facce da nucleare" e diffondilo
- Partecipa a "Spegni il nucleare" con il referendum su FB

http://www.beppegrillo.it/2011/04/il_latte_e_i_fu.html

mercoledì 23 marzo 2011

150 ANNI DELL'UNITA D'ITALIA ( TECCHIO )

Il Presidente Sebastiano Tecchio
Sebastiano Tecchio è nato a Vicenza il 3 gennaio 1807 ed è morto a Venezia 24 gennaio 1886. Consegue la laurea in giurisprudenza all'Università di Padova e si dedica all'attività forense; nel 1848 fa parte del governo provvisorio che proclama l'unione di Vicenza con l'insorta Venezia, combatte per la difesa della sua città dalle truppe austriache e si reca da Carlo Alberto latore dei plebisciti per l'unione del Veneto al Regno di Sardegna. Non torna a Vicenza ormai domata, ma viene eletto deputato al Parlamento subalpino ed è ministro dei Lavori Pubblici dal dicembre 1848 al marzo 1849. Viene costantemente rieletto nei collegi di Venasca e Carmagnola dalla I alla IX legislatura e continua a Torino la professione di avvocato. Allo scoppio della guerra del 1859 è inviato come Commissario straordinario nelle province invase dagli Austriaci, dopo Villafranca è membro del Comitato veneto di emigrazione e si prodiga in favore degli esuli. Già vicepresidente della Camera, ne è il presidente dal 22 marzo 1862 al 26 maggio 1863. Avversa decisamente la Convenzione di Settembre 1864; dopo essere tornato nella regione natale al termine della terza guerra d'indipendenza diviene presidente della Corte d'Appello di Venezia e nel novembre del 1866 lascia la Camera, primo dei veneti ad essere nominato senatore. Dall'Aprile all'Ottobre del 1867 è ministro di Grazia e Giustizia nel gabinetto Rattazzi e lega il suo nome alla legge sulla liquidazione dell'asse ecclesiastico. Lasciato l'incarico ministeriale riassume la presidenza della Corte di Appello di Venezia che tiene sino al raggiungimento dei limiti di età nel gennaio del 1882. E' presidente del Senato, dopo l'avvento della Sinistra al potere, dal 20 novembre 1876 al 27 luglio 1884, dimessosi dopo una protesta diplomatica dell'Austria-Ungheria per un suo patriottico discorso che, in occasione della commemorazione di Giovanni Prati, inneggiava all'italianità del Trentino. Nel marzo del 1878 era stato insignito da Umberto I del Collare dell'Annunziata. Negli ultimi anni della sua esistenza si ritira a vita privata nel Vicentino e muore a Venezia il 24 gennaio 1886 dopo una breve ed acuta malattia.





palazzo Trissino. Nell'atrio una targa spiega la medaglia d'oro al valor militare del 1848 mentre all'interno un busto celebra l'avvocato patriota TECCHIO SEBASTIANO.


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SEBASTIANO TECCHIO è nato a Vicenza il 3 gennaio 1807 ed è morto a Venezia 24 gennaio 1886

Consegue la laurea in giurisprudenza all'Università di Padova e si dedica all'attività forense; nel 1848 fa parte del governo provvisorio che proclama l'unione di Vicenza con l'insorta Venezia, combatte per la difesa della sua città dalle truppe austriache e si reca da Carlo Alberto latore dei plebisciti per l'unione del Veneto al Regno di Sardegna. Non torna a Vicenza ormai domata, ma viene eletto deputato al Parlamento subalpino ed è ministro dei Lavori Pubblici dal dicembre 1848 al marzo 1849. Viene costantemente rieletto nei collegi di Venasca e Carmagnola dalla I alla IX legislatura e continua a Torino la professione di avvocato.


Allo scoppio della guerra del 1859 è inviato come Commissario straordinario nelle province invase dagli Austriaci, dopo Villafranca è membro del Comitato veneto di emigrazione e si prodiga in favore degli esuli. Già vicepresidente della Camera, ne è il presidente dal 22 marzo 1862 al 26 maggio 1863.

Avversa decisamente la Convenzione di Settembre 1864; dopo essere tornato nella regione natale al termine della terza guerra d'indipendenza diviene presidente della Corte d'Appello di Venezia e nel novembre del 1866 lascia la Camera, primo dei veneti ad essere nominato senatore.

Dall'aprile all'ottobre del 1867 è ministro di Grazia e Giustizia nel gabinetto Rattazzi e lega il suo nome alla legge sulla liquidazione dell'asse ecclesiastico. Lasciato l'incarico ministeriale riassume la presidenza della Corte di Appello di Venezia che tiene sino al raggiungimento dei limiti di età nel gennaio del 1882. E' presidente del Senato, dopo l'avvento della Sinistra al potere, dal 20 novembre 1876 al 27 luglio 1884, dimessosi dopo una protesta diplomatica dell'Austria-Ungheria per un suo patriottico discorso che, in occasione della commemorazione di Giovanni Prati, inneggiava all'italianità del Trentino. Nel marzo del 1878 era stato insignito da Umberto I del Collare dell'Annunziata. Negli ultimi anni della sua esistenza si ritira a vita privata nel Vicentino e muore a Venezia il 24 gennaio 1886 dopo una breve ed acuta malattia.